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Boulder, come avere un'università a Cortina

Ogni tanto mi chiedo se tornerei a Boulder. Elena, mia moglie dice di sì, lo farebbe, nonostante in un primo momento abbia dovuto convincerla io, e nonostante la fatica per organizzare tutto in tempo. Eravamo all'inizio del 2018. Io desideravo ardentemente passare un periodo lungo negli Stati Uniti con i nostri figli ma sembrava una impresa ardua. Avevamo già trascorso due estati a Berkeley, anche con l'aiuto di due programmi di Short Term Mobility del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), ma un anno era tutt'altra cosa.

 

Solo che quello era il momento giusto, me lo sentivo. I nostri figli frequentavano tutti un anno scolastico adatto in cui poter partire, una coincidenza non da poco, avendone tre. Ma quell'anno Chiara era in 2° liceo, Tobia in 2° media e Edoardo in 4° elementare.

Eppure c'era poco tempo, e sembrava che ormai fosse troppo tardi per applicare a una delle poche borse disponibili per due vecchietti, scientificamente parlando, come noi.

La svolta fu l'incontro con Luisa, una cardiologa di origini triestine che è professore alla University of Colorado, Denver, e che vive a Boulder. Luisa ci racconta le virtù di questa cittadina arroccata ai piedi delle montagne rocciose. Sono forse le montagne e i racconti di Luisa che ci spingono a crederci fino in fondo. Leggiamo una classifica del National Geographic: Boulder è prima tra i migliori posti dove vivere negli Usa. Infine arriva il consenso del direttore dell'Istituto officina dei materiali del Cnr, di cui io e mia moglie siamo entrambi ricercatori: possiamo stare sei mesi negli Stati Uniti.

È con l'occasione di una conferenza in Arizona che vado per la prima volta a cercare casa e scuola a Boulder. È maggio, il Mount Evans sullo sfondo è ancora scintillante di neve e Boulder ha un'atmosfera magica: l'aria e frizzante, gli spazi immensi, le persone sono tutte abbronzate, atletiche e sorridenti. E dietro le aiuole fiorite svettano i graniti dei Flat Iron: come vivere a Cortina ma con una prestigiosa Università dove lavorare.

Grazie a Luisa l'Università di Denver istruisce le pratiche per il mio visto: andrò a studiare le proprietà meccaniche di cardiomiociti con la microscopia a forza atomica. Grazie a Orfeo, marito di Luisa e professore di Ingegneria a Trieste, Elena conosce Tanja Cuk, una giovane professoressa della University of Colorado Boulder. Questo ateneo vanta oltre 13 premi Nobel tra i propri alunni e 3 nel proprio staff e proprio in quel momento sta allestendo un laboratorio di spettroscopia ottica risolta in tempo, per studiare la dinamica dei processi di riduzione dell'acqua.

Siamo sicuri, Boulder è l'occasione che stavamo aspettando. In meno di due mesi, troviamo casa, facciamo i passaporti e i visti, compriamo i biglietti, iscriviamo i ragazzi a scuola, e facciamo le ore piccole per finire tutto quello che era rimasto indietro sul lavoro. Finalmente, il 2 agosto alle 4.00 di mattina siamo seduti sulla soglia di casa ad aspettare la navetta che ci deve portare all'aeroporto, con cinque valige, una a testa, e un sacco di domande.

E adesso ci ripensiamo e ci chiediamo se lo rifaremmo, con tutta la fatica della preparazione frettolosa prima della partenza. Elena ripartirebbe subito, anche solo per la soddisfazione di arrivare all'Università e dopo pochi giorni poter partecipare a un congresso nel Campus con speaker di altissimo livello sulle tematiche di ricerca che vorrebbe, appena tornata, affrontare nel proprio laboratorio, per poter lavorare in un laboratorio di ottica con tutta la strumentazione per mettere su un set-up unico al mondo, per imparare e poi, tornata in Italia, poter riportare le nuove conoscenze nel proprio laboratorio. Ma anche solo per pranzare e prendere i caffè con i colleghi, poter discutere con loro di progetti e possibili collaborazioni. E poi c'era tutta la vita, quella fuori dai laboratori: portare Edo a scuola e andare al lavoro, fare tutto in bicicletta, anche sulla neve, le piste ciclabili fatte in modo da non dover mai attraversare una strada, nemmeno vederla... come essere in vacanza. E la Creekside Elementary School e la maestra Katie, e le giornate di scuola aperta, i nuovi amichetti di Edo, i concerti della banda di Southern Hill Middle School con Tobia in fondo a suonare le percussioni. Ma che concerti, che professionalità, che talenti! E i negozi su Pearl Street, i teatri, gli hamburger di Southern Sun.

Io tornerei lì per il campus di Anschutz, a Denver. Lavorare con medici che al mattino visitano i pazienti e al pomeriggio sono sui banconi di laboratorio. E i laboratori, l'organizzazione, i seminari, ogni settimana un nome di spicco nel proprio campo, che esperienza!

Mi piaceva andare al lavoro, tra Boulder e Denver ci sono 24 miglia trafficatissime, ma io salivo sul FF5 mi sedevo e lavoravo per un'ora all'andata e una al ritorno con il sole che tramontava dietro le montagne innevate. Lavorare con le montagne innevate al tramonto sullo sfondo è una cosa che non dimenticherò. E quando scendevo dal bus e attraversavo il nostro quartiere sui vialetti innevati e scricchiolanti e tutte le case illuminate per Natale...

E poi tutto il contorno: le partite di basket a Fairview High School, con Chiara che faceva la cheerleader, i sabati mattina a fare i giri in bici da soli con Orfeo e Luisa, nell'Eldorado Canyon o in pianura, le camminate sul Bear Peak subito dietro casa, e i tentativi di arrampicata ai Flat Iron. E siamo andati a sciare, sciare, sciare; e quando eravamo al lavoro Edo e Tobia si erano costruiti un trampolino dietro casa per fare i salti con lo snowboard. E Denver, Union Station, Denver Art Museum, i ristoranti…

E poi è arrivato il 27 febbraio e abbiamo dovuto abbandonare la nostra casetta e la nostra auto e siamo dovuti ripartire. Ho ancora le targhe dell'auto che avevo acquistato: YOZ 337.

Dobbiamo assolutamente tornarci!