L’officina dei materiali all’opera per garantire un migliore sfruttamento delle energie rinnovabili, la ricerca in copertina di ACS Catalysis

 Un nuovo studio del Cnr-Iom in collaborazione con Charles University di Praga ha ottenuto la copertina di ACS Catalysis, apportando nuove importanti conoscenze nel campo delle rinnovabili. In particolare, si tratta di uno studio sui nuovi materiali che permettono di convertire in modo efficiente forme diverse di energia.

Il tema della sostenibilità energetica pone alla ricerca scientifica domande stimolanti e aperte. In termini di dispositivi, ad oggi, esistono due risposte che consentono di convertire e usare le energie rinnovabili più disponibili sul pianeta. Per questo scopo già esistono dispositivi capaci di convertire l’energia solare in un combustibile verde come l’idrogeno, ed analoghi dispositivi capaci di convertire l’energia chimica immagazzinata nell’idrogeno in energia elettrica. Entrambe queste tecnologie sfruttano materiali che hanno una elevata reattività chimica, in quanto i processi che trasformano l’energia da una forma all’altra sono propriamente delle reazioni chimiche che avvengono sulla superficie dei materiali.

Lo studio recentemente pubblicato dal Cnr-Iom e dall’Università di Praga, si concentra proprio sulla possibilità di ottimizzare le perfomance di questi materiali. Si tratta infatti tipicamente di materiali molto rari e quindi molto costosi: tanto più sono reattivi, tanto maggiore è il loro costo, come dimostra il platino, in generale il materiale più efficiente e più raro. Perciò ricercatori e ricercatrici lavorano da anni in due diverse direzioni: trovare dei materiali più economici e altrettanto efficaci del platino, in modo da sostituirlo, e trovare dei modi per usare il platino in modo tale da poter minimizzare la quantità necessaria senza che i device perdano le loro capacità.

Si chiama ingegnerizzazione dei materiali, e applicata in questo campo intende ottenere strumenti altrettanto efficienti con quantità di platino inferiori.

Un modo che è stato identificato negli anni per raggiungere questo obiettivo è quello di ridurre le dimensioni delle particelle di platino che si inseriscono nel materiale. Infatti, tanto più sono piccole le particelle, tanto maggiore è la loro reattività, perché essa dipende sia dal materiale sia dalla quantità di materiale che è esposto in superficie. Se quindi le particelle di platino sono molto piccole, la superficie di contatto del materiale stesso aumenta percentualmente. In questo modo con la stessa quantità di platino si riescono ad ottenere dispositivi più efficaci.

Ecco, riducendo progressivamente la dimensione delle particelle si è riusciti a scendere fino raggiungere la dimensione atomica. Cioè è possibile disporre il platino in unità così piccole da arrivare ai suoi singoli atomi. Dunque, si possono effettivamente ingegnerizzare con singoli atomi di platino i dispositivi per la trasformazione dell’energie rinnovabili. Si chiamano Single Atom Catalysist Device.

Tuttavia c’è un problema, la disposizione atomo per atomo non è stabile. È come se spontaneamente questi atomi tendessero a riunificarsi, e riaggregarsi in particelle più grandi. Questo processo, quello cioè per cui si può disperdere il platino, dividendolo nelle sue particelle più elementari, gli atomi, e il suo opposto, quello per cui il platino stesso tende a riunificarsi e compattarsi in unità maggiori, dipendono da alcuni fattori.

“Lo studio recentemente pubblicato è proprio dedicato all’identificazione di questi fattori, in modo da consentirne una migliore manipolazione, e così garantire la stabilizzazione della disposizione atomica del platino.” Spiega Matteo Farnesi Camellone, ricercatore del Cnr che ha seguito il lavoro. “Comprendere meglio quali fattori favoriscono la dispersione del platino, cioè la sua suddivisione fino alla dimensione atomica, permette di produrre artificialmente questa condizione e così favorire la disposizione ottimale del materiale”. Conclude il ricercatore.  

In particolare, ciò di cui si è occupato Camellone insieme al team del Cnr-Iom, è stata la parte teorica dello studio: cioè l’utilizzo della simulazione numerica ad alte prestazioni, per studiare la termodinamica dei processi con cui gli atomi di disperdono e riaggregano, permettendo di interpretare i dati sperimentali, che erano invece stati misurati presso l’Elettra sincrotrone di Trieste, dai partner della repubblica ceca.

“Questo lavoro costituisce il risultato finale di una decennale collaborazione tra Cnr-Iom e la Charles University di Praga, culminata con il progetto europeo Design of Thin-Film Nanocatalysts for On-Chip Fuel Cell Technology” sottolinea Stefano Fabris, il Direttore Cnr-Iom che ha coordinato lo studio. Tuttavia, concluso lo studio, al Cnr-Iom non si esaurisce l’interesse nei confronti dei nuovi materiali e dei processi di produzione e conservazione per le energie sostenibili, che è uno dei filoni di ricerca principali dell’Istituto.

Per l'articolo:

https://doi.org/10.1021/acscatal.2c00291